27 Jun 2010

Oltre il velo





Il velo e le sue sfide

Articolo di LORRAINE ALI

Pubblicato 11 Giugno 2010

http://www.nytimes.com/2010/06/13/fashion/13veil.html?pagewanted=1&partner=rss&emc=rss

 
Hebah Ahmed si assicurò delle condizioni metereologiche prima di uscir fuori dal furgoncino. ”È ventilato”, disse con un sospiro, aggiunstandosi un ciuffetto di capelli uscito fuori dal velo. Sua sorella più giovane Sarah, guardò fuori dal finestrino e vide che vortici di polvere danzavano nel parcheggio. “Ah bene” disse: ”Sembrerò una suora volante”.

 
Hebah Ahmed, 32 anni, e Sarah, 28, indossano un abito religioso, ma di tipo islamico: un largo indumento chiamato jilbab, un khimar, cioè un velo copricapo che si estende fino alla punta delle dita, ed un niqab, un velo che copre la maggior parte del volto. Prima della visita al supermercato, le due sorelle si sono consultate al telefono per essere sicure non indossassero lo stesso colore “Altrimenti, sembreremo adepti di una setta”

 
Quando Hebah aprì la porta del furgoncino, il vento gonfiò i suoi larghi indumenti come fossero una vela. Sua figlia di 6 anni, Khadijah Leseman, ne rise. Hebah fece scendere Khadijah e suo figlio di 2 anni, Saulih, mentre faceva il possible per tenere al loro posto il khimar e il niqab.

 
Il vento gonfiò il jilbab blu di Sarah come un lenzuolo steso al filo non appena ella si accaparrò un carrello della spesa. Suo figlio di tre anni, ‘Isa Soliman, era accanto a lei, perduto nel tessuto che si levava in volute.

 
Molte persone nel parcheggio si fermarono per poter osservare la scena.

 
Se le sorelle erano consapevoli che tutti gli occhi erano puntati su di loro, non ne mostrarono alcun segno. Nel supermercato, esse ignorarono gli sguardi curiosi nella sezione dei prodotti, la sorprendente doppia ripresa accanto ai prodotti da forno e gli sguardi torvi accanto ai cereali. Avanzarono in modo leggiadro, come planando lungo i corridoi, fermandosi per comparare i prezzi del sugo per gli spaghetti.

Due bambini di origine ispanica corsero col fiato mozzato verso la propria mamma. La femminuccia chiese alla sua mamma in spagnolo: “Perchésono vestite così?” “Islam” rispose la madre, aggiungendo che le donne erano dell’Arabia Saudita.

 
Hebah, che è del Tennessee, sorrise alla fanciulla, ma tutto ciò che riuscì a scorgere furono le linee attorno agli occhi che segnalavano un sorriso. Dopo quasi dieci anni sotto il velo, lei e sua sorella sapevano molto bene che attiravano una certa attenzione, e molte altre reazioni, nelle persone intorno a loro.

 
Hebah raccontò di essere stata persino cacciata via da assistenti di volo piuttosto nervosi e che gli era stato urlato in faccia da acquirenti arrabbiati che la definivano una terrorista. Sua sorella fu minacciata da un estraneo in una area di picnic che affermava di aver ucciso una donna in Afghanistan che “le assomigliava molto”. Quando ella si iscrisse alla palestra Curves vicino casa ad Edgewood, N.M., alcuni membri minacciarono di abbandonare il corso. “Essi dissero che gli Islamisti stavano prendendo il controllo” affermò la signora Ahmed.

 
La sua scelta di diventare una musulmana così identificabile scosse persino i suoi genitori, immigrati egiziani.

 

“Mi sorprese più di ogni altra cosa” disse suo padre, Mohammed Ahmed, che vive a Houston con sua madre, Mervat Ahmed. Egli disse che aveva allevato le sue figlie con un profondo senso dell’orgoglio per la loro cultura islamica, ma che non si sarebbe mai aspettato che avrebbero potuto indossare un hijab, un velo, per non parlare poi del niqab.

 
Allevate in quello che ella descrive come una famiglia “osservante al minimo” da genitori che indossavano tipici abiti americani, Hebah soleva ella stessa pensare che le donne che indossano il niqab fossero folli.

 
“Mi sembrava come se stessero soffocando” ella aggiunse. “Pensavo che non fosse proprio possible che Dio voleva che noi camminassimo sulla faccia della terra conciate in quel modo, dunque perché lo facevano?” Adesso molte persone pensano le stesse di cose riguardo il suo caso.

 
Hebah Ahmed (il suo nome si pronuncia Hib-ah) è nata in Chattanooga, allevata a Nashville e Houston, e parla con una leggera lentezza nella pronuncia. Giocava a basket per la scuola superiore cattolica che frequentava, ha guadagnato un master in ingegneria meccanica e una volta lavorava nell’area petrolifera del Golfo del Messico.

 
Ella non è una musulmana qualunque; non è un ruolo che rivendicherebbe per se stessa. La sua storia è sua soltanto. Ma ha avuto piacere nel trascorrere un po’ di tempo con una nostra giornalista per fornire un’idea di come sia la vita americana da dietro il velo, un indumento che è diventato un simbolo potente di uno scontro culturale.

 

Tutto ciò che si vede della signora Ahmed quando si avventura in compagnia mista, sono soltanto i suoi profondi occhi marroni, alcune lentiggini sbiadite dove il sole colpisce la punta del naso, e le sue mani. Soleva uscire di casa in jeans e maglietta (ancora può farlo, sotto il suo jilbab), ma tutto cambiò dopo gli attacchi dell’11/9. Fu profondamente scossa dal pensiero che le persone che avevano compiuto atti così terrorizzanti si definissero Musulmani.

 
“Continuavo a pensare: ‘perché fanno questo in nome dell’Islam?” Ella si chiese: “La mia religione dice davvero di fare queste cose orribili?”

 
Dunque ella lesse il Corano e altri testi islamici ed iniziò a frequentare la preghiera del venerdi al Centro Islamico locale. Scoprì che nulla avrebbe mai potuto giustificare quegli attacchi, e allo stesso tempo trovò un profondo significato nelle preghiere, la forza, la pietà e la risolutezza. Li vide come indicatori stradali per navigare il mondo.

 
“Mi stavo interrogando sul fine della mia vita.” La signora Ahmed disse: “E tutto per avere una prospettiva più ampia. Non ero più concentrata soltanto su di me e la mia carriera”.

 
Reagì anche ad una forte reazione negativa (socio-economica) contro l’Islam e la notizia che molte donne americane musulmane non si coprivano per paura di essere prese al mirino. “Era tutto sbagliato” ella disse. Dunque cercò ella stessa di provvedere ad un esempio positivo della fede in lotta in un modo che fosse difficile da ignorare. Dunque il 17 settembre 2001 indossò l’hijab con gli abiti da lavoro nel laboratorio dove lavorava.

 
Un collega le disse: “Dovresti avvolgere la bandiera americana attorno al capo così che la gente sappia di che parte sei”. La signora Ahmed disse: “Da allora in poi non hanno mai allentato la presa”

 
Tre mesi dopo, ella abbonadonò il lavoro ed iniziò ad indossare il niqab, coprendosi il volto quando in presenza di altri uomini oltre suo marito.

 
“Lo faccio perché voglio sentirmi più vicina a Dio, voglio compiacerGli e voglio vivere una vita modesta” spiegò la signora Ahmed, che ha esplicitamente chiesto che il suo aspetto fisico senza velo non venga descritto. “Voglio essere testata in questo modo. Il niqab è un promemoria continuo di fare la cosa giusta. È consapevolezza di Dio”.

 
Ma ci sono anche delle motivazioni secolari. Nel suo lavoro, ella era a contatto con squadra tutta al maschile sulle piattaforme petrolifere e nei laboratori.

 
“Non importa quanto intelligente potevo essere, non riuscivo comunque ad ottenere il rispetto che volevo” ella affermò: “Ancora ci provavano, facevano forti battute e persino mi hanno dato una pacca al fondoschiena un paio di volte.”

 
Indossare il niqab è “liberatorio” ella ha affermato: “Devono per forza avere a che fare col mio cervello perché non gli dò altra scelta”

 
Il primo confronto con l’opinione pubblica arrivò, cosa abbastanza comune, mentre guidava.

 

“Una donna in un’auto accanto a me stava facendo dei cenni, suonando il clacson, indicandomi di abbassare il vetro del finestrino” ella disse: “Tentai di ignorarla, ma alla fine, entrambe dovemmo fermarci al semaforo. Abbassai il finestrino e mi feci forza. Poi ella mi disse: “Mi scusi ma il suo burqa è incastrato nella porta” E questo ruppe il ghiaccio.

 

Sua sorella Sarah iniziò ad indossare il niqab più o meno nello stesso periodo, mentre completava la sua laurea di ingegneria alla Rice University. La curva di apprendimento era ripida; entrambe le sorelle trovarono che avevano bisogno di portarsi delle cannucce per bere in pubblico, ma mangiare era tutta un’altra storia. Una volta Sarah dimenticò che stava indossando un niqab e diede un morso ad un cono di gelato. “Umiliante” ella commentò, scuotendo la testa.

 

Respirare non è difficile come si può immaginare, ma Hebah ebbe alcune difficoltà di adattamento iniziali.

 

Ella disse: “Continuai a smarrire degli oggetti oppure a lasciarli indietro. È come quando indossi i tacchi a spillo per la prima volta, oppure un reggiseno: non è la cosa più comoda, ma c’è un fine, e credi che quel fine superi il disagio.”

 

LE DONNE che si coprono integralmente, definite niqabate, non rappresentano che una percentuale piccolissima dei tre fino a sette milioni di musulmani stimati negli Stati Uniti, eppure hanno impersonificato molto di ciò che gli occidentali trovano alieno nell’Islam. Nascoste sotto metri di tessuto, rappresentano il promemoria viscerale della differenza tra l’Est e l’Ovest, ed un segno indisputabile che l’Islam sta facendosi strada nella cultura americana.

 

In Francia, il Presidente Nicolas Sarkozy sta sostenendo una campagna per bandire dagli uffici pubblici le donne che indossano il niqab, e il suo cugino più conservativo, il burqa, che copre gli occhi di colei che lo indossa con un leggero velo. Legislazione simile viene presa in considerazione nella provincia del Quebec e in Belgio.

 

Negli Stati Uniti si sono raggiunti punti limite: nel 2006 Ginnah Muhammed, la parte lesa in un caso di minore importanza a Detroit, rifiutò la richiesta del giudice di togliersi il niqab durante il processo e dunque il suo caso fu sospeso. Successivamente si ritrovò alla Corte Suprema del Michigan a dibattere il diritto di indossare il niqab in tribunale. La Corte Suprema confermò il verdetto del giudice.

 

Oltre le sorelle Ahmed, la signora Muhammed e cinque altre donne niqabate sono state intervistate per questo articolo. Tutte hanno preso la decisione di indossare il niqab quando ancora nubili. E sebbene la fede islamica non esige che le donne si coprano il volto, tutte credono che il niqab gli offra più credito agli occhi di Dio. “Più  ti copri, più ti senti vicina a Dio” ha affermato la signora Muhammed.

 

Menahal Begawala, 28, fu allevata nel Queens, figlia di indiani emigrati. Ella iniziò a coprirsi il volto all’età di 19 anni. “Suppongo ci sia una parte di me che vuole dichiarare a tutti ‘sono musulmana’ ella ha dichiarato.

 

Ella è un insegnate che adesso vive ad Irving in Tex. La signorina Begawala ha dichiarato: “Penso di sfidare il mito perché parlo inglese, sono istruita e quella di coprirmi è una scelta personale.”

 

Sarah Zitterman, che da adolescente era la classica serfista bionda californiana, ha abbracciato l‘Islam dopo aver vissuto a Zanzibar come studentessa. In Africa ella si sentiva molto più serena nell’udire la chiamata alla preghiera di quanto si fosse mai sentita prima con le campane della chiesa a casa a san Diego. Adesso ha 30 anni ed è madre di tre bambini a Fresno, Calif., la Zitterman ha affermato che essere bianca e americana ha reso la sua esperienza del niqab un po’ più facile.

 

“Spaventa meno” ella ha affermato: “ ma la cosa più difficile è quando ad essere spaventati sono i bambini. Se non ci sono uomini in giro, mi scopro il volto e gli dico ‘Hey, sono solo una mamma vedi?’”

 

La maggior parte delle niqabate afferma di aver ricevuto alla moschea locale quasi le stesse critiche che nel centro commerciale. Molti musulmani americani non amano essere associati al niqab, affermando che questo conferisce un concetto sbagliato della loro fede ai non musulmani.

 

“L’idea di coprisi il volto è una sfida anche nella nostra comunità” ha affermato Edina Lekovic, responsabile delle telecomunicazioni del Consiglio degli Affari Pubblici Musulmani a Los Angeles. “Per i musulmani piu’ tradizionali bisogna vestirsi modestamente e coprire tutto eccetto mani e volto. Dunque per una donna indossare il niqab rappresenta andare oltre cio’ a cui invita il Corano”

 

Sarah e Hebah Ahmed vivono soltanto a poche miglia di distanza ad East Mountain in Albuquerque, Hebab in una strada tortuosa con bambini e marito, Zayd Chad Leseman, un assistente universitarto dell’Universtia’ del New Mexico; Sarah in una cupola geodetica rurale con suo figlio e suo marito, Yasser Soliman, un ingegnere di Intel.

 

Hebah e suo marito , che viene da Moline, Ill., entrambi laureati all’Università dell’Illinois si incontrarono a Urbana-Champaign. Quando si sposarono nel 2003, il signor Leseman aveva già abbracciato l’Islam e preso il nome di Zayd. La gente appariva spesso confusa alla vista della coppia, ella ci ha raccontato, in quanto suo marito sembra “bianco, normale, medio-occidentale, che però si accompagna ad una donna completamente coperta e scura (si può dire già dagli occhi)”. Ella rise e aggiunse: “Si chiederanno dove mi abbia comprata”.

 

Il Signor Leseman sostiene la decisione di sua moglie di indossare il niqab: “Sono orgoglioso della convinzione di mia moglie, ma apparire in pubblico prevede degli adattamenti visto gli sguardi e i commenti” egli ha affermato.

 

Una volta, continuò raccontando: “Volevamo andare ad una partita di softball (sport simile al baseball) in cui giocava mia sorella e mia madre disse: ‘Che bello! Ma Hebah dovrà restare in macchina’. La gente pensa che poiché il suo volto è coperto, lo sono anche i suoi sentimenti!”

 

Le sorelle guidano per una mezz’oretta verso Alburquerque alcune volte a settimana per raggiungere un fruttivendolo, partecipare alla preghiera al Centro Islamico del New Mexico, e bere dei frullati al Satellite Coffee.

 

Il portabagagli dell’auto di Hebah è pieno zeppo di opuscoli sull’Islam, traduzioni in inglese del Corano e barrette granola per i suoi bambini.

 

Quando si tratta di aver a che fare con il pubblico, è un ambasciatrice in niqab, socievole ed estroversa. “Considero le discussioni con le persone un’opportunità per spiegare chi io sia, e magari spargere un po’ di luce sull’Islam” Hebah ha affermato: “Se conoscessero di più me e la mia fede, sono sicura che penserebbero diversamente”

 

Ella è solita spiegare che un niqab non è un burqua e che no, non lo indossa anche in casa. In uno scenario tutto al femminile come in Curves, non si sarebbe in grado di identificare chi sia tra tutte quelle in tenuta sportiva la donna che fuori indossa un niqab. Fa un po’ caldino sotto il jilbaba, ma come Sarah ha spiegato si crea “una sorta di aria condizionata a circuito che fa circolare aria fresca”.

 

Hebah è così abituata agli abiti che indossa, che spesso se ne dimentica. “Qualche volta passa un ragazzo che mi sta osservando e mi sento come se mi stesse squadrando” ella disse:”Poi mi buttò un’occhiata riflettendomi in una finestra e mi rassicuro dicendo “tutto ok”.

 

Mentre stava guidando sull’Interstatale 40, conducendo verso casa, la signora Ahmed, incastra il suo cellulare tra il velo e l’orecchio, e poi scherzando “Guarda, un congegno senza mani!” Sarah ruotò gli occhi indietro.

 

Ci sono varii tipi di niqab, Hebah spiegò tirandone fuori almeno mezza dozzina dall’armadio. Fece spazio sul letto spostando la sua copia, orami ridotta male dal troppo uso evidentemente, di “Gli uomini provengono da Marte, le donne da Venere”.

 

I suoi niqab sono stati cuciti da una sarta in Egitto che ella incontrò visitando dei parenti, ma molte donne niqabate americane comprano i loro accessori online. “Non puoi trovarli qua,“Hebah ha affermato:” Voglio dire quelli che si trovano al negozio halal locale sono orrendi”.

 

Mentre rovistava tra i veli, Khadijah se ne legò uno attorno alla vita e piroettò come una ballerina. Le donne musulmane aspettano di solito fino alla pubertà per celare in pubblico capelli e corpo, ma Khadijah ama indossare il velo per gioco, specialmente quello rosa che luccica.

 

Hebah ha dichiarato che desidera che Khadijah “diventi una donna sicura di sé che non sia né vittimizzata néabusata”. Ella spiegò: “Per me, il miglior modo di ottenere questo, è di fare quello che io faccio, ma non soltanto perchémamma le ha detto di farlo, ma perché ne sia veramente convinta. Alla fine, sarà da sola davanti a Dio”.

 

Quando ricordò che il suo è un cammino tortuoso, e che sarebbe lo stesso per sua figlia, la signora Ahmed si fermò a riflettere, poi iniziò a piangere.

 

“La gente non capisce” ella ha detto, asciugandosi le lacrime con un orlo della sua manica: “Noi siamo molto forti, ma ha un prezzo. Qualche volta pensi vorrei soltanto riposare”.

 

Sarah, aiutando sua sorella, intervenne: “Pensiamo al Paradiso a quel punto. Il Paradiso è dove noi riposeremo. Questo è quello che ci dà la forza di affrontare la situazione.”

 

Traduzione ed adattamento di Cinzia Amatullah

3 comments:

  1. Mashallah!
    Grazie, cara!
    salem ;)

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  2. Assalamu alaykum sorella,
    subhan'Allah questa storia, e' la mia storia...e' la storia di tutte quelle sorelle che conosco che devono affrontare tutti i giorni la bigotteria e ignoranza di alcuni!
    Possa Allah guidarli, amin.
    Mi sono commassa soprattutto leggendo il sunto alla fine dell'articolo..
    "Pensiamo al Paradiso a quel punto. Il Paradiso e’ dove noi riposeremo. Questo e’ quello che ci da’ la forza di affrontare la situazione.”
    Mash'Allah!!!!
    x

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  3. assalamu alaykum wa rahmatullah

    jazakAllahu khayran per l'articolo

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