7 Nov 2012

Come sono arrivata a scegliere l'Islâm (di Agnese Umm Yusef)



Assalamo `alaykum wa Rahmatullahi wa Barakatuhu (che la pace, e la misericordia e le benedizioni di Allah siano con voi).

Mi chiamo Agnese, sono italiana e vivo in Inghilterra, dove ho studiato e lavorato, dal 2002. Sono cresciuta in una famiglia cristiana praticante e lo sono stata io stessa fino all’età di 25 anni. Sono ritornata all’Islâm il 3 Dicembre 2006. Questa è la storia del percorso attraverso il quale Allah (st) mi ci ha guidato Alḥamdulillah.

 Fin dall’infanzia, trascorsa in un paese molto piccolo e tranquillo della Bergamasca, sono stata sempre estremamente  affascinata da lingue e culture diverse dalla mia. Ogni volta che avessi avuto occasione di visitare grandi città, ero solita restare a bocca aperta nel vedere persone di diversi gruppi etnici (nei piccoli paesi di provincia era una vera rarità negli anni 80!). Non potevo fare a meno di chiedermi come la vita dovesse essere nei loro Paesi d’origine e immaginare che storie avessero da raccontare nelle loro lingue esotiche. Ovviamente appena atterrata a Manchester per la prima volta, come partecipante allo scambio universitario Erasmus nel 2002, mi innamorai all’istante della sua diversità e varietà etnica e culturale. Masha’Allah.

Durante il mio primo anno in Inghilterra, le mie migliori amiche erano musulmane, ma dal momento che nessuna di loro indossava il velo, la loro religione non ebbe mai alcuna implicazione e non condusse mai a domande da parte mia. L’unica cosa era che evitavano di mangiare carne al ristorante e bevevano un succo invece dei cocktail quando uscivamo la sera e andavamo a ballare.

Il mio primo vero contatto con l’Islâm è stata Maryam, una donna saudita sulla quarantina che era mia compagna di corso nel master che ho conseguito nel 2004. A volte Maryam faceva menzione di aspetti della sua religione, ma non la capii mai veramente; mi limitavo a pensare: “Che ognuno faccia come vuole.” Pensavo che una donna come lei, molto intelligente e acculturata, spiritosa e di certo non all’antica - anche se coperta dalla testa ai piedi - fosse un’eccezione piuttosto che la norma quando si fosse trattato di rappresentare le donne musulmane.

Dopo un anno, nell’autunno del 2005, iniziai a insegnare inglese in una scuola di lingue per adulti frequentata esclusivamente da Musulmani, la stragrande maggioranza dei quali erano uomini tra i 20 e i 30 anni. A questo punto la mia esposizione all’Islâm iniziò a intensificarsi. All’inizio era semplicemente per una ragione pratica: I miei studenti, pur conoscendo le regole della grammatica inglese, facevano fatica ad applicarle nella lingua parlata, così il direttore della scuola mi incoraggiò a dedicare ore intere di lezione alla conversazione, così da farli esercitare il più possibile.

Iniziavo gli esercizi di conversazione con gli argomenti più svariati, ma ogni volta, indipendentemente dall’argomento da cui fossimo partiti, ci ritrovavamo sempre a parlare delle differenze culturali tra il mondo islamico e l’Occidente. Molti dei miei studenti si sentivano un po’ persi e avevano molta nostalgia di casa, e faticavano a comprendere il nostro modo di vivere europeo; di certo io non capivo il loro.

Per quanto mi fossi sempre considerata orgogliosa dell’essere di vedute molto aperte, devo ammettere che non ero per nulla interessata a sapere qualcosa del modo di vivere dei Musulmani ed avrei volentieri cambiato discorso. Avrei preferito conoscere qualsiasi altra cultura o religione al mondo piuttosto che l’Islâm. Questo non è certo sorprendente: dopo tutto anch’io, in questo aspetto del mio pensiero, non ero altro che il prodotto di una cultura in cui l’Islâm è decisamente demonizzato e molto poco conosciuto. Nonostante la mia opinione personale, mi comportavo da interlocutore educato, facendo ai miei studenti domande sulla loro vita e sui loro valori.

Quando M. entrò nella mia classe per la prima volta, ebbi immediatamente una strana sensazione. Era il primo degli studenti che avessi mai incontrato a portare la barba lunga. Un segno della sua religione che era evidente, che mandava un messaggio a chiunque lo vedesse, e che tende ad avere un impatto sulla gente. Di certo lo aveva avuto nel mio caso! È un po’ difficile da spiegare, ma mi sentii immediatamente nella posizione di dovermi difendere in materia di religione e moralità. Mi aveva dato la spiccata impressione di essere una persona molto religiosa, al punto che mi sentii subito costretta a dimostrargli che, sebbene non avessi avuto un “straccio”  in testa – come ero solita chiamarlo - e mi vestissi all’occidentale, anch’io avevo dei valori, anch’io ero una persona etica e che aveva un Dio. In verità, non mi parlò mai né si comportò mai come se fosse convinto del contrario su di me o mi considerasse in qualche modo inferiore. Ma quella barba era un segno di fede talmente potente per me, che mi fece iniziare a mettermi in discussione. Penso di aver notato all’istante – a qualche livello non proprio conscio – come la spiritualità di M., la sua devozione e coscienza di Dio fossero immensamente superiori a quei 40 minuti di messa domenicale che frequentavo io. La consapevolezza di questo fatto, una volta raggiunta, mi mise sulla difensiva. Ma, alḥamdulillah, questa reazione fu presto rimpiazzata da una sincera curiosità, piuttosto che da ostilità. Finalmente la mia mente si era aperta, e questa volta lo aveva fatto sul serio! Gli chiesi quasi immediatamente, quasi con un tocco di sfida, perché portasse la barba così lunga. Allora il suo inglese lasciava molto a desiderare (dopotutto era una classe per principianti!) e anche se capiva quasi tutto quello che dicevo, faticava a esprimersi. (E la sua risposta alla domanda fu l’equivalente di: “Perché? Tu non piace?”)

Giorno dopo giorno, con la collaborazione di tutti gli studenti, ciascuno aggiungendo quella parolina in più che sapeva, iniziai a imparare qualcosa. Iniziai a rendermi conto di come M. in particolare, ma tutti i Musulmani che conoscevo, incluse le mie migliori amiche, fossero come avvolti in una specie di “aura” di serenità e soddisfazione. Era chiaro che, malgrado gli alti e bassi della vita quotidiana – che affliggono tutti, indipendentemente dal credo o filosofia di vita - , queste persone fossero fondamentalmente e profondamente felici.

Era un tipo di felicità che ero incapace di provare. Diversa dal formicolio lasciato da una serata divertente con gli amici, e dal terremoto della tua canzone preferita sparata a tutto volume nelle orecchie. Diversa dal cinguettio dell’acchiappare una vera occasione ai saldi o dalla carezza di avere il sole che ti scalda la faccia per la prima volta dopo settimane di grigio inglese. Meglio perfino del tuo professore che ti dice che hai fatto un ottimo lavoro, meglio di quando qualcuno ti dice “ti amo”, meglio del sentimento di “sapere” cosa si vuole fare della propria vita …

Ammiravo il sentimento che i Musulmani nella mia vita mi trasmettevano, e presto iniziai a volerlo per me. Non mancava proprio niente nella mia vita, fino al momento in cui capii che la mia vita poteva essere molto di più, e che – in effetti – qualcosa mancava.

Pur essendomi resa conto che la mia spiritualità lasciava parecchio a desiderare, non avrei mai immaginato che un giorno avrei voluto cambiare religione; al contrario, misi tutte le mie energie nel tentativo di diventare una Cristiana migliore. Tuttavia, ogni volta che paragonavo qualsiasi aspetto del Cristianesimo all’equivalente dell’Islam, mi risultava dolorosamente chiaro che la mia religione fosse carente, e che non avesse una serie di direttive pratiche abbastanza articolate da potermi effettivamente guidare in ogni aspetto della vita.

Ad esempio, da Cristiana, avrei potuto pregare in ogni momento e luogo e con le parole che avessi voluto; mi sentivo lasciata allo sbaraglio, mentre i Musulmani sapevano esattamente come Dio voleva che Lo adorassero. Da Cristiana, avrei potuto digiunare, ma quel digiuno non sarebbe mai stato lo stesso del digiuno decretato da Dio Stesso. Questa struttura è assente dal Cristianesimo perché, come la maggior parte delle persone sanno, le scritture dell’Antico e Nuovo Testamento sono state modificate e manomesse nel corso dei secoli, così che gran parte del Messaggio originale di Dio è andato perso.

Mi sembrava che alla comunità cristiana non importasse di vivere seguendo la vera, autentica, pura Parola di Dio; sembravano contenti di fare qualsiasi cosa li facesse “stare bene”. Non ha senso che l’uomo crei da sé la religione, quando la religione esiste come servizio di Dio. Io che a 8 anni volevo farmi suora, perché volevo servirLo al meglio, mi stavo seriamente chiedendo se non fosse il caso di ascoltare una buona volta come Dio volesse essere adorato, anziché fare da me.

Il mio primo passo ebbe luogo una domenica di Quaresima. Seduta a messa, pensavo all’autocontrollo, al sacrificio e alla pratica del digiuno e a come fosse andata persa nel Cristianesimo. Da piccola, le donne del paese, specialmente quelle anziane, rinunciavano ai dolci durante la Quaresima, e oggi anche questa pratica è andata sciamando. Non potevo che trovarlo patetico, paragonato al digiuno di Ramadan. Sentivo di voler far qualcosa per Dio, qualcosa che mi fosse costato. Un istante di autoanalisi fu sufficiente per rendermi conto che non avrei dovuto sacrificare i dolci, quanto le sigarette. Ero stata un’incallita fumatrice per anni. Appena terminata la messa buttai le sigarette e l’accendino che avevo con me nel primo cestino che trovai. Avevo provato a smettere varie volte, ma senza successo. Nemmeno l’incidenza di cancro nella mia famiglia era mai stata un efficace deterrente. Ma ora volevo farlo per Dio. Dopo soli 2 giorni, il mio corpo era pulito e non ho mai più desiderato di fumare. Capii che questo poteva essere solamente Dio che me lo stava rendendo facilissimo perché volevo farlo per Lui. Alhamdulillah (che Dio sia lodato).

Sono sempre stata – e sono ancora - molto sensibile in fatto di discriminazione sessuale. Una delle cose che non mi convincevano dell’Islam era il trattamento delle donne. Ho spesso trovato che in Italia, come in altre parti del mondo, sebbene la parità dei diritti sia riconosciuta dalla legge, nella vita fosse tutta un’altra storia. I media presentano una certa immagine della donna; l’uso gratuito dell’immagine del corpo femminile, di donne molto scoperte e iper sessualizzate è così frequente che basta accendere la TV in qualsiasi momento della giornata per vedere una ragazza, che a malapena nasconde le sue parti intime, nello spot pubblicitario di una bibita. O donne in abiti succinti, che stanno lì per fare bella presenza – quasi fossero parte della mobilia – durante una trasmissione sportiva. Questo non mi scandalizzava in termini di mancanza di pudore (ci si fa l’abitudine, e il naturale pudore viene soppresso), ma mi faceva arrabbiare che la stragrande maggioranza delle donne venissero rappresentate così, quasi fossero un pezzo di carne, senza niente da dire, in esistenza esclusivamente per gratificare la vista dell’uomo.

La mia esperienza del mondo occidentale mi diceva che la parità esistesse solo a parole, ma che in pratica, avrei dovuto lottare per farmi prendere sul serio, che avrei dovuto lavorare molto più duramente di un uomo, perché il rispetto non mi sarebbe stato dato automaticamente. Probabilmente è per questo che il mio successo lavorativo contava tanto per me: non avrei mai voluto “finire” a fare la casalinga, come se non fossi stata in grado di fare un vero lavoro! (Astaghfirullah, che Dio mi perdoni, che poca considerazione avevo per tutto quello che mia madre, una casalinga per scelta, aveva fatto per me!).

Mi ero costruita addosso un’armatura: uno spesso strato di cinismo e ribellione. Non saprei dire se ero felice o no, ma di certo ero molto sotto pressione. Fino al momento in cui mi educai sul rango della donna nell’Islam. Poco a poco, mi apparve un’alternativa: un mondo in cui il rispetto per cui tanto mi agitavo, mi veniva dato naturalmente e in abbondanza. Smisi di sentire il bisogno di comportarmi come un uomo; non c’era più bisogno che fossi “dura”. Per la prima volta accettai la mia femminilità in toto: non solo gli aspetti di natura sessuale ma anche quell’istinto di volermi prendere cura degli altri, quella parte di me che, sotto sotto, non avrebbe disdegnato essere moglie e madre.

Questo cambiamento nella mia personalità si manifestò in un modo che compresi molto tempo dopo: iniziai a coprirmi di più.

Il mio studio dell’Islam avvenne, nel corso di meno di un anno, indipendentemente dalle mie amiche musulmane e da M., ma presto divenne chiaro che io e lui nutrivamo sentimenti reciproci. Dal momento che l’Islam proibisce relazioni prematrimoniali, si iniziò a parlare di matrimonio. Cominciai a sommergerlo di domande riguardo problemi pratici che sarebbero potuti sorgere in una famiglia di fede mista – essendo che ancora usavo l’educazione di futuri figli come scusa per studiare l’Islam, negando il fatto che lo stessi facendo esclusivamente per me stessa.

Ma una delle mie amiche l’aveva capito. Un venerdì mattina mi mandò un messaggio informandomi che sarebbe andata alla preghiera del venerdì in una moschea del centro, e chiedendomi se avessi voluto andarci con lei. Mi spaventai, ma non seppi resistere. Appena messo piede nella “moschea” (una piccola stanza vuota con la moquette in un seminterrato un po’ umido), mi trovai di fronte un’anziana signora nigeriana che borbottò qualcosa alla mia amica (anche lei nigeriana) indicando me e poi la sua testa (“Perché questa non ha la testa coperta?”). Grazie a Dio, la mia amica aveva un foulard in più. Io ero completamente intimidita. Mi misi a sedere in un angolo. Quando le donne cominciarono ad entrare e, vedendomi, dicevano “assalamo aleykum”, io, che sapevo benissimo quale fosse la risposta appropriata per quel saluto, non mi sentivo al’altezza e dicevo “salve”. Non dimenticherò mai il momento in cui cominciò la chiamata alla preghiera. Tutte si misero in fila per la pregare insieme, mentre io, seduta in fondo alla stanza, avevo lacrime enormi che mi rotolavano sulle guancie. Quella chiamata mi faceva sentire esposta, “nuda”, completamente vulnerabile. Sapevo quale era la cosa giusta da fare e non potevo più fare finta di niente.

Comincia ad interrogarmi spietatamente. Avevo un fidanzato così affettuoso, intelligente e tollerante, e legalmente gli sarebbe stato permesso sposarmi da Cristiana. Che bisogno ci sarebbe stato di cambiare religione? Che motivo c’era di prenderlo anche solo in considerazione, specialmente dopo aver trascorso anni ad imparare a “non chiedere perché” in fatto di fede? Perché avrei dovuto mettere di nuovo tutto in discussione dopo essere finalmente riuscita a trovare un qualche equilibrio nella mia vita? Era proprio necessario chiedersi se la mia religione di nascita fosse davvero “la Verità”? Se avessi vissuto la mia vita da persona buona e onesta, che bisogno ci sarebbe stato di diventare musulmana?... ma soprattutto, perché sentivo un’irresistibile desiderio di diventarlo?

Presto arrivai al punto di imparare come eseguire la preghiera rituale (salah).

Una mattina, mi alzai e, sebbene la mia mente fosse piena di fatti e sentimenti su questa “nuova” religione - tutti molto forti ed un poco confusi – l’intenzione del mio corpo era molto chiara: voleva prostrarsi. Sentii l’irrefrenabile desiderio di fare sajdah (prostrazione), anche se non sapevo bene come pregare o cosa dire … l’avevo desiderato per settimane. Così lasciai che il mio corpo si piegasse, nella direzione che avevo calcolato fosse il Sud-Est (verso la Mecca), e misi la faccia sul pavimento della mia stanza. Piansi tanto. Non mi ero mai sentita così completa.

Poche ore più tardi, frequentai una delle lezioni di un gruppo per nuove sorelle e donne interessate all’Islam in una moschea. La lezione riguardava la morte: Proprio la spinta che mi ci voleva. Appena finita la lezione, mi rivolsi alle due sorelle che gestivano il gruppo e pronuncia la mia professione di fede (Shahadah), entrando formalmente nell’Islam. Alhamdulillah (Che Dio sia lodato).

Poco dopo io e M. ci sposammo, ed ora abbiamo due bambini, Alhamdulillah!

Da allora continuai a frequentare il gruppo di studio per sorelle, prima come utente e poi come collaboratrice e occasionale contribuente alle lezioni. Questo mi ha permesso, per grazia di Dio, di vedere lo stesso miracolo accadere settimana dopo settimana, a tante altre donne, dopo esserne stata oggetto io stessa. Dio è veramente il più Grande!

Da allora è stato un percorso un po’ accidentato per quanto riguarda il rapporto con la mia famiglia in Italia, che fatica a convivere con la mia scelta. Ma prego che Allah mantenga da entrambe le parti la volontà di avere un buon rapporto, e che guidi me e la mia famiglia ad essere in un modo che Lo compiaccia. Davvero, Dio guida chi vuole.

 Jazakillah kheir cara sorella per la tua testimonianza

 

 

 

 

 

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