Assalamo `alaykum wa Rahmatullahi wa Barakatuhu (che la
pace, e la misericordia e le benedizioni di Allah siano con voi).
Mi chiamo Agnese, sono italiana e vivo in Inghilterra, dove
ho studiato e lavorato, dal 2002. Sono cresciuta in una famiglia cristiana
praticante e lo sono stata io stessa fino all’età di 25 anni. Sono ritornata
all’Islâm il 3 Dicembre 2006. Questa è la storia del percorso attraverso il
quale Allah (st) mi ci ha guidato Alḥamdulillah.
Fin dall’infanzia,
trascorsa in un paese molto piccolo e tranquillo della Bergamasca, sono stata
sempre estremamente affascinata da
lingue e culture diverse dalla mia. Ogni volta che avessi avuto occasione di
visitare grandi città, ero solita restare a bocca aperta nel vedere persone di
diversi gruppi etnici (nei piccoli paesi di provincia era una vera rarità negli
anni 80!). Non potevo fare a meno di chiedermi come la vita dovesse essere nei
loro Paesi d’origine e immaginare che storie avessero da raccontare nelle loro
lingue esotiche. Ovviamente appena atterrata a Manchester per la prima volta,
come partecipante allo scambio universitario Erasmus nel 2002, mi innamorai
all’istante della sua diversità e varietà etnica e culturale. Masha’Allah.
Durante il mio primo anno in Inghilterra, le mie migliori
amiche erano musulmane, ma dal momento che nessuna di loro indossava il velo,
la loro religione non ebbe mai alcuna implicazione e non condusse mai a domande
da parte mia. L’unica cosa era che evitavano di mangiare carne al ristorante e
bevevano un succo invece dei cocktail quando uscivamo la sera e andavamo a
ballare.
Il mio primo vero contatto con l’Islâm è stata Maryam, una
donna saudita sulla quarantina che era mia compagna di corso nel master che ho
conseguito nel 2004. A volte Maryam faceva menzione di aspetti della sua
religione, ma non la capii mai veramente; mi limitavo a pensare: “Che ognuno
faccia come vuole.” Pensavo che una donna come lei, molto intelligente e
acculturata, spiritosa e di certo non all’antica - anche se coperta dalla testa
ai piedi - fosse un’eccezione piuttosto che la norma quando si fosse trattato
di rappresentare le donne musulmane.
Dopo un anno, nell’autunno del 2005, iniziai a insegnare
inglese in una scuola di lingue per adulti frequentata esclusivamente da
Musulmani, la stragrande maggioranza dei quali erano uomini tra i 20 e i 30
anni. A questo punto la mia esposizione all’Islâm iniziò a intensificarsi.
All’inizio era semplicemente per una ragione pratica: I miei studenti, pur
conoscendo le regole della grammatica inglese, facevano fatica ad applicarle
nella lingua parlata, così il direttore della scuola mi incoraggiò a dedicare
ore intere di lezione alla conversazione, così da farli esercitare il più
possibile.
Iniziavo gli esercizi di conversazione con gli argomenti più
svariati, ma ogni volta, indipendentemente dall’argomento da cui fossimo
partiti, ci ritrovavamo sempre a parlare delle differenze culturali tra il
mondo islamico e l’Occidente. Molti dei miei studenti si sentivano un po’ persi
e avevano molta nostalgia di casa, e faticavano a comprendere il nostro modo di
vivere europeo; di certo io non capivo il loro.
Per quanto mi fossi sempre considerata orgogliosa
dell’essere di vedute molto aperte, devo ammettere che non ero per nulla
interessata a sapere qualcosa del modo di vivere dei Musulmani ed avrei
volentieri cambiato discorso. Avrei preferito conoscere qualsiasi altra cultura
o religione al mondo piuttosto che l’Islâm. Questo non è certo sorprendente:
dopo tutto anch’io, in questo aspetto del mio pensiero, non ero altro che il
prodotto di una cultura in cui l’Islâm è decisamente demonizzato e molto poco
conosciuto. Nonostante la mia opinione personale, mi comportavo da
interlocutore educato, facendo ai miei studenti domande sulla loro vita e sui
loro valori.
Quando M. entrò nella mia classe per la prima volta, ebbi
immediatamente una strana sensazione. Era il primo degli studenti che avessi
mai incontrato a portare la barba lunga. Un segno della sua religione che era
evidente, che mandava un messaggio a chiunque lo vedesse, e che tende ad avere
un impatto sulla gente. Di certo lo aveva avuto nel mio caso! È un po’
difficile da spiegare, ma mi sentii immediatamente nella posizione di dovermi
difendere in materia di religione e moralità. Mi aveva dato la spiccata
impressione di essere una persona molto religiosa, al punto che mi sentii
subito costretta a dimostrargli che, sebbene non avessi avuto un
“straccio” in testa – come ero solita
chiamarlo - e mi vestissi all’occidentale, anch’io avevo dei valori, anch’io
ero una persona etica e che aveva un Dio. In verità, non mi parlò mai né si
comportò mai come se fosse convinto del contrario su di me o mi considerasse in
qualche modo inferiore. Ma quella barba era un segno di fede talmente potente
per me, che mi fece iniziare a mettermi in discussione. Penso di aver notato
all’istante – a qualche livello non proprio conscio – come la spiritualità di
M., la sua devozione e coscienza di Dio fossero immensamente superiori a quei
40 minuti di messa domenicale che frequentavo io. La consapevolezza di questo
fatto, una volta raggiunta, mi mise sulla difensiva. Ma, alḥamdulillah, questa
reazione fu presto rimpiazzata da una sincera curiosità, piuttosto che da
ostilità. Finalmente la mia mente si era aperta, e questa volta lo aveva fatto
sul serio! Gli chiesi quasi immediatamente, quasi con un tocco di sfida, perché
portasse la barba così lunga. Allora il suo inglese lasciava molto a desiderare
(dopotutto era una classe per principianti!) e anche se capiva quasi tutto
quello che dicevo, faticava a esprimersi. (E la sua risposta alla domanda fu
l’equivalente di: “Perché? Tu non piace?”)
Giorno dopo giorno, con la collaborazione di tutti gli
studenti, ciascuno aggiungendo quella parolina in più che sapeva, iniziai a
imparare qualcosa. Iniziai a rendermi conto di come M. in particolare, ma tutti
i Musulmani che conoscevo, incluse le mie migliori amiche, fossero come avvolti
in una specie di “aura” di serenità e soddisfazione. Era chiaro che, malgrado
gli alti e bassi della vita quotidiana – che affliggono tutti,
indipendentemente dal credo o filosofia di vita - , queste persone fossero
fondamentalmente e profondamente felici.
Era un tipo di felicità che ero incapace di provare. Diversa
dal formicolio lasciato da una serata divertente con gli amici, e dal terremoto
della tua canzone preferita sparata a tutto volume nelle orecchie. Diversa dal
cinguettio dell’acchiappare una vera occasione ai saldi o dalla carezza di
avere il sole che ti scalda la faccia per la prima volta dopo settimane di
grigio inglese. Meglio perfino del tuo professore che ti dice che hai fatto un
ottimo lavoro, meglio di quando qualcuno ti dice “ti amo”, meglio del
sentimento di “sapere” cosa si vuole fare della propria vita …
Ammiravo il sentimento che i Musulmani nella mia vita mi
trasmettevano, e presto iniziai a volerlo per me. Non mancava proprio niente
nella mia vita, fino al momento in cui capii che la mia vita poteva essere
molto di più, e che – in effetti – qualcosa mancava.
Pur essendomi resa conto che la mia spiritualità lasciava
parecchio a desiderare, non avrei mai immaginato che un giorno avrei voluto
cambiare religione; al contrario, misi tutte le mie energie nel tentativo di
diventare una Cristiana migliore. Tuttavia, ogni volta che paragonavo qualsiasi
aspetto del Cristianesimo all’equivalente dell’Islam, mi risultava
dolorosamente chiaro che la mia religione fosse carente, e che non avesse una
serie di direttive pratiche abbastanza articolate da potermi effettivamente
guidare in ogni aspetto della vita.
Ad esempio, da Cristiana, avrei potuto pregare in ogni
momento e luogo e con le parole che avessi voluto; mi sentivo lasciata allo
sbaraglio, mentre i Musulmani sapevano esattamente come Dio voleva che Lo
adorassero. Da Cristiana, avrei potuto digiunare, ma quel digiuno non sarebbe
mai stato lo stesso del digiuno decretato da Dio Stesso. Questa struttura è
assente dal Cristianesimo perché, come la maggior parte delle persone sanno, le
scritture dell’Antico e Nuovo Testamento sono state modificate e manomesse nel
corso dei secoli, così che gran parte del Messaggio originale di Dio è andato
perso.
Mi sembrava che alla comunità cristiana non importasse di
vivere seguendo la vera, autentica, pura Parola di Dio; sembravano contenti di
fare qualsiasi cosa li facesse “stare bene”. Non ha senso che l’uomo crei da sé
la religione, quando la religione esiste come servizio di Dio. Io che a 8 anni
volevo farmi suora, perché volevo servirLo al meglio, mi stavo seriamente
chiedendo se non fosse il caso di ascoltare una buona volta come Dio volesse
essere adorato, anziché fare da me.
Il mio primo passo ebbe luogo una domenica di Quaresima.
Seduta a messa, pensavo all’autocontrollo, al sacrificio e alla pratica del
digiuno e a come fosse andata persa nel Cristianesimo. Da piccola, le donne del
paese, specialmente quelle anziane, rinunciavano ai dolci durante la Quaresima,
e oggi anche questa pratica è andata sciamando. Non potevo che trovarlo
patetico, paragonato al digiuno di Ramadan. Sentivo di voler far qualcosa per
Dio, qualcosa che mi fosse costato. Un istante di autoanalisi fu sufficiente
per rendermi conto che non avrei dovuto sacrificare i dolci, quanto le
sigarette. Ero stata un’incallita fumatrice per anni. Appena terminata la messa
buttai le sigarette e l’accendino che avevo con me nel primo cestino che
trovai. Avevo provato a smettere varie volte, ma senza successo. Nemmeno
l’incidenza di cancro nella mia famiglia era mai stata un efficace deterrente.
Ma ora volevo farlo per Dio. Dopo soli 2 giorni, il mio corpo era pulito e non
ho mai più desiderato di fumare. Capii che questo poteva essere solamente Dio
che me lo stava rendendo facilissimo perché volevo farlo per Lui. Alhamdulillah
(che Dio sia lodato).
Sono sempre stata – e sono ancora - molto sensibile in fatto
di discriminazione sessuale. Una delle cose che non mi convincevano dell’Islam
era il trattamento delle donne. Ho spesso trovato che in Italia, come in altre
parti del mondo, sebbene la parità dei diritti sia riconosciuta dalla legge,
nella vita fosse tutta un’altra storia. I media presentano una certa immagine
della donna; l’uso gratuito dell’immagine del corpo femminile, di donne molto
scoperte e iper sessualizzate è così frequente che basta accendere la TV in
qualsiasi momento della giornata per vedere una ragazza, che a malapena
nasconde le sue parti intime, nello spot pubblicitario di una bibita. O donne
in abiti succinti, che stanno lì per fare bella presenza – quasi fossero parte
della mobilia – durante una trasmissione sportiva. Questo non mi scandalizzava
in termini di mancanza di pudore (ci si fa l’abitudine, e il naturale pudore
viene soppresso), ma mi faceva arrabbiare che la stragrande maggioranza delle
donne venissero rappresentate così, quasi fossero un pezzo di carne, senza
niente da dire, in esistenza esclusivamente per gratificare la vista dell’uomo.
La mia esperienza del mondo occidentale mi diceva che la
parità esistesse solo a parole, ma che in pratica, avrei dovuto lottare per
farmi prendere sul serio, che avrei dovuto lavorare molto più duramente di un
uomo, perché il rispetto non mi sarebbe stato dato automaticamente.
Probabilmente è per questo che il mio successo lavorativo contava tanto per me:
non avrei mai voluto “finire” a fare la casalinga, come se non fossi stata in
grado di fare un vero lavoro! (Astaghfirullah, che Dio mi perdoni, che poca
considerazione avevo per tutto quello che mia madre, una casalinga per scelta,
aveva fatto per me!).
Mi ero costruita addosso un’armatura: uno spesso strato di
cinismo e ribellione. Non saprei dire se ero felice o no, ma di certo ero molto
sotto pressione. Fino al momento in cui mi educai sul rango della donna
nell’Islam. Poco a poco, mi apparve un’alternativa: un mondo in cui il rispetto
per cui tanto mi agitavo, mi veniva dato naturalmente e in abbondanza. Smisi di
sentire il bisogno di comportarmi come un uomo; non c’era più bisogno che fossi
“dura”. Per la prima volta accettai la mia femminilità in toto: non solo gli
aspetti di natura sessuale ma anche quell’istinto di volermi prendere cura
degli altri, quella parte di me che, sotto sotto, non avrebbe disdegnato essere
moglie e madre.
Questo cambiamento nella mia personalità si manifestò in un
modo che compresi molto tempo dopo: iniziai a coprirmi di più.
Il mio studio dell’Islam avvenne, nel corso di meno di un
anno, indipendentemente dalle mie amiche musulmane e da M., ma presto divenne
chiaro che io e lui nutrivamo sentimenti reciproci. Dal momento che l’Islam
proibisce relazioni prematrimoniali, si iniziò a parlare di matrimonio.
Cominciai a sommergerlo di domande riguardo problemi pratici che sarebbero
potuti sorgere in una famiglia di fede mista – essendo che ancora usavo
l’educazione di futuri figli come scusa per studiare l’Islam, negando il fatto
che lo stessi facendo esclusivamente per me stessa.
Ma una delle mie amiche l’aveva capito. Un venerdì mattina
mi mandò un messaggio informandomi che sarebbe andata alla preghiera del
venerdì in una moschea del centro, e chiedendomi se avessi voluto andarci con
lei. Mi spaventai, ma non seppi resistere. Appena messo piede nella “moschea”
(una piccola stanza vuota con la moquette in un seminterrato un po’ umido), mi
trovai di fronte un’anziana signora nigeriana che borbottò qualcosa alla mia
amica (anche lei nigeriana) indicando me e poi la sua testa (“Perché questa non
ha la testa coperta?”). Grazie a Dio, la mia amica aveva un foulard in più. Io
ero completamente intimidita. Mi misi a sedere in un angolo. Quando le donne
cominciarono ad entrare e, vedendomi, dicevano “assalamo aleykum”, io, che
sapevo benissimo quale fosse la risposta appropriata per quel saluto, non mi
sentivo al’altezza e dicevo “salve”. Non dimenticherò mai il momento in cui
cominciò la chiamata alla preghiera. Tutte si misero in fila per la pregare
insieme, mentre io, seduta in fondo alla stanza, avevo lacrime enormi che mi
rotolavano sulle guancie. Quella chiamata mi faceva sentire esposta, “nuda”,
completamente vulnerabile. Sapevo quale era la cosa giusta da fare e non potevo
più fare finta di niente.
Comincia ad interrogarmi spietatamente. Avevo un fidanzato
così affettuoso, intelligente e tollerante, e legalmente gli sarebbe stato
permesso sposarmi da Cristiana. Che bisogno ci sarebbe stato di cambiare
religione? Che motivo c’era di prenderlo anche solo in considerazione,
specialmente dopo aver trascorso anni ad imparare a “non chiedere perché” in
fatto di fede? Perché avrei dovuto mettere di nuovo tutto in discussione dopo
essere finalmente riuscita a trovare un qualche equilibrio nella mia vita? Era
proprio necessario chiedersi se la mia religione di nascita fosse davvero “la
Verità”? Se avessi vissuto la mia vita da persona buona e onesta, che bisogno
ci sarebbe stato di diventare musulmana?... ma soprattutto, perché sentivo
un’irresistibile desiderio di diventarlo?
Presto arrivai al punto di imparare come eseguire la
preghiera rituale (salah).
Una mattina, mi alzai e, sebbene la mia mente fosse piena di
fatti e sentimenti su questa “nuova” religione - tutti molto forti ed un poco
confusi – l’intenzione del mio corpo era molto chiara: voleva prostrarsi.
Sentii l’irrefrenabile desiderio di fare sajdah (prostrazione), anche se non
sapevo bene come pregare o cosa dire … l’avevo desiderato per settimane. Così
lasciai che il mio corpo si piegasse, nella direzione che avevo calcolato fosse
il Sud-Est (verso la Mecca), e misi la faccia sul pavimento della mia stanza.
Piansi tanto. Non mi ero mai sentita così completa.
Poche ore più tardi, frequentai una delle lezioni di un
gruppo per nuove sorelle e donne interessate all’Islam in una moschea. La
lezione riguardava la morte: Proprio la spinta che mi ci voleva. Appena finita
la lezione, mi rivolsi alle due sorelle che gestivano il gruppo e pronuncia la
mia professione di fede (Shahadah), entrando formalmente nell’Islam. Alhamdulillah
(Che Dio sia lodato).
Poco dopo io e M. ci sposammo, ed ora abbiamo due bambini,
Alhamdulillah!
Da allora continuai a frequentare il gruppo di studio per
sorelle, prima come utente e poi come collaboratrice e occasionale contribuente
alle lezioni. Questo mi ha permesso, per grazia di Dio, di vedere lo stesso
miracolo accadere settimana dopo settimana, a tante altre donne, dopo esserne
stata oggetto io stessa. Dio è veramente il più Grande!
Da allora è stato un percorso un po’ accidentato per quanto
riguarda il rapporto con la mia famiglia in Italia, che fatica a convivere con
la mia scelta. Ma prego che Allah mantenga da entrambe le parti la volontà di
avere un buon rapporto, e che guidi me e la mia famiglia ad essere in un modo
che Lo compiaccia. Davvero, Dio guida chi vuole.
Jazakillah kheir cara sorella per la tua testimonianza