بسم الله الرحمان الرحيم
I paradisi di Luca Abdullah
Storia di una conversione: da Cristo a Maometto
L’UNIONE SARDA
Domenica 01 novembre 2009
di GIORGIO PISANO
Professore di latino e greco nei licei classici, Luca de Martini ha deciso di allungare il suo nome un giorno qualunque di sei anni fa. Si è convertito all’islam valutando in meditata solitudine tutte le conseguenze del caso. Adesso si chiama anche Abdullah (che vuol dire servitore di Dio) e Nur (che vuol dire luce). È già andato in pellegrinaggio alla Mecca. Si propone di essere un musulmano «coerente e rigoroso, onesto e retto».
Significa fondamentalista?
«Sì, se il termine non avesse un’accezione offensiva. Dunque non mi dichiaro fondamentalista».
Integralista è meglio?
«Neppure. Sa di esasperato rigore e il mio islam non è affatto così. Non amo gli eccessi, non rifiuto il progresso, prendo dalla cultura e dalla tecnologia degli altri quello che ritengo buono».
Cagliaritano, figlio unico di un insegnante, trentacinque anni, esperto di linguistica sarda, Luca dice di non vestire «sempre di nero». Lo puntualizza perché all’appuntamento per l’intervista si presenta con un copricapo nero, un lunghissimo camicione nero, pantaloni neri, stivali neri, folta barba da frate cappuccino (o da imam, se preferite). Laureato in Lettere antiche, specializzato in Russia, è sposato «con una cittadina straniera» ed è padre d’una bimba di un anno.
Qual è la strada che un borghese occidentale deve battere per arrivare all’islam? La curiosità altrui lo lascia indifferente e se accetta di spiegare su un giornale come la pensa è solo perché «in giro c’è troppa confusione, qualche volta troppa malafede». E precisa meglio: «Storicamente, per un milanese è straniero anche un napoletano, figuriamoci un pakistano o un senegalese».
Non vuole e non intende rappresentare una religione ma semplicemente offrire una storia personale, la storia di un ragazzo che perde pian piano i legami col cattolicesimo ed entra in un’altra dimensione. Dove sostiene di aver trovato finalmente serenità e coerenza, soprattutto. «Non ho mai capito come si possa dire d’essere cattolici ma non praticanti. Che senso ha?». La regola della fedeltà all’idea non prevede sconti nemmeno per lui. Tantomeno dubbi. «Il dubbio è la radice della miscredenza».
Il professor de Martini è un giovane asciutto, d’una certa eleganza fisica, chiude e spalanca mani bianchissime per sottolineare i concetti importanti. Sospetta diffidenza (ma non lo rivela), si prepara a domande provocatorie mantenendo una calma assoluta salvo, ogni tanto, un leggero tremolìo degli occhi e il discorso che si fa d’un tratto spezzato. Il suo cammino religioso è simile a quello di Cat Stevens, popstar degli anni ‘70 ma con una differenza-chiave: «Non ho avuto maestri. Sono un autodidatta. Ho semplicemente studiato, studiato, studiato».
Prega cinque volte al giorno, nei limiti del possibile cura l’alimentazione evitando il maiale, alcolici e comunque la carne di animali che non siano stati macellati secondo il precetto musulmano. Racconta che i genitori hanno seguito questa sua lenta trasformazione con un misto d’attesa e perplessità. Se la madre lo invita a cena si salva in corner con menu di compromesso: pizza, pasta, verdura, pesce. Del mondo di ieri, quello dell’adolescenza e di una verdissima gioventù, non rimpiange niente. «Non ho nostalgia di quello che sono stato».
Quanto pesa il passato cattolico?
«Sono stato battezzato, ho fatto Prima comunione e Cresima. Durante la visita di leva ho scoperto che lo Stato italiano mi considera cattolico per il solo fatto d’essere stato battezzato. Singolare, no? Nessuno me lo aveva chiesto. In ogni caso, sbattezzarmi non mi interessa».
Cosa non le piace del cattolicesimo?
«Il discorso sarebbe lungo. In sintesi, non condivido il modo di essere della Chiesa di Roma e la teologia. Una dottrina che non fa per me».
Le è rimasto un amico cattolico?
«Non vedo più quelli che frequentavo un tempo. Comunque sì, ho conoscenti cattolici».
Amici o conoscenti?
«Conoscenti».
Com’è avvenuta la conversione?
«Leggendo sull’islam. Pensi che la Shahada, la formula di adesione alla fede, l’ho fatta in assoluta solitudine. Senza maestri, senza suggeritori. Credo di essere stato l’unico sardo presente alla Mecca tre anni fa».
C’è stato un episodio folgorante?
«Direi di no. Non sono un fanatico: sono approdato all’islam dopo aver riflettuto con me stesso. C’è tuttavia una vicenda che mi ha colpito: mi trovavo in Russia per ragioni di studio quando le armate di Putin hanno decimato il popolo ceceno. Un genocidio».
Che bisogno aveva di cambiare nome?
«Non l’ho cambiato. Ho soltanto aggiunto Abdullah Nur al mio, che resta tale e quale all’anagrafe. È un modo per rafforzare la fratellanza islamica. Fermo restando che ogni musulmano deve rispettare le leggi dello Stato che lo ospita, a patto che non violino i principi fondamentali della fede».
C’è una corrente religiosa nella quale si riconosce?
«Quella della tradizione. Seguo le regole delle prime tre generazioni di musulmani».
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Nel liceo dove insegna ha avuto problemi?
«No, mai. Mai nessun problema coi colleghi, credo abbiano considerazione di me. Passo per un docente serio ed esigente».
E con gli alunni?
«Neppure. A fine lezione è capitato qualcuno che mi abbia chiesto di sapere di più. Ma l’insegnamento, per quel che mi riguarda, è un pubblico servizio. Quando sono in cattedra non rappresento alcun partito e nessuna fede».
Sarà felice il ministro Gelmini.
«La scelta religiosa è privata, intima. Non può in alcun modo sfiorare le materie che insegno».
D’accordo ma se una sua allieva mettesse il burka?
«Non avrei niente da dire. Così come non ho niente da dire quando arrivano in audacissime minigonne. Non mi pare ci siano imposizioni precise per l’abbigliamento in classe. Difatti mi lascia perplesso l’atteggiamento di quei colleghi, soprattutto colleghe, che pretendono di spiegare alle alunne come devono venire vestite a scuola».
Secondo i suoi principi, le donne dovrebbero portare addirittura i guanti.
«Non è un obbligo. Certo, se una donna ha mani bellissime coprirle può servire ad allontanare l’attenzione morbosa di un uomo. Intendiamoci, le migliori musulmane sono quelle coperte ma non è detto che quelle coperte siano poi le musulmane migliori. Mi sono spiegato?»
Dev’essere dura per uno come lei vivere nel Paese delle veline.
«Misuro il progresso e la civiltà di una nazione dalla Scuola e dalla Sanità, che devono essere servizi rigorosamente pubblici, assolutamente efficienti e indiscutibilmente aperti a tutti, non solo ai ricchi. L’Italia non mi entusiasma ma è un Paese migliore di tanti altri».
Vota?
«Non sempre. Quando mi è capitato di farlo, ho scelto liste indipendentiste antiglobalizzazione. È il sistema centralista e accentratore che non funziona, paghiamo ancora a carissimo prezzo il modello sociale imposto da quel carnefice che si chiama Napoleone Bonaparte».
Se sua figlia dovesse innamorarsi di un ragazzo d’altra religione?
«Per noi la famiglia è molto, molto importante. Avere una buona educazione islamica significa capire e far capire che uomini e donne hanno ruoli diversi e uguale dignità».
Va bene, ma se sua figlia…
«Vorrebbe dire che sta tradendo i principi e che io non sono stato in grado di darle una buona educazione».
E in conclusione?
«In conclusione non darei il mio assenso».
Se invece tutto questo lo facesse un figlio maschio?
«A un maschio è consentito a patto che si congiunga con una ragazza di fede monoteista. In ogni caso, si tratterebbe della scelta peggiore».
Però è tollerata.
«Sì».
Sbagliano gli intellettuali che vi accusano di vivere in culture arcaiche?
«Quanto più il progresso scientifico avanza tanto più si rafforza l’islam. Nell’Occidente c’è scontro tra fede e scienza, da noi no. Nel Corano è stato scritto 1.400 anni fa che inizialmente l’universo era una nebulosa di massa gassosa. Figuriamoci se il progresso può preoccuparci».
Relativista o assolutista?
«Relativista nello studio delle civiltà, assolutista sul fronte della fede. Gliel’ho detto: il dubbio è la radice della miscredenza».
Se sua moglie la tradisse…
«Il musulmano distingue tra fornicazione e adulterio…».
La domanda è un’altra.
«L’adulterio è un peccato grave, molto grave».
Che prevede la lapidazione.
L’islam è un sistema di vita onnicomprensivo. Ha regole chiare su economia, diritto matrimoniale, alimentazione…».
La domanda: favorevole o contrario alla lapidazione?
«Non sono un giurista, quindi non so se una condanna come questa possa essere commutata in altro».
D’accordo ma se sua moglie…
«Ho aderito alla legge islamica e ne osservo i precetti».
Le punizioni sono autentica ferocia.
«Non sono d’accordo con questa valutazione».
La proposta di legge contro l’omofobia: che ne pensa?
«L’Occidente considerava l’omosessualità una malattia fino a poco tempo fa, ora non più. L’islam condanna i rapporti sodomitici e quelli anali in assoluto, cioè anche fra uomo e donna. Non conosco nei dettagli la proposta di legge bocciata in Parlamento ma, in linea di massima, siamo per il dialogo».
L’omosessualità però resta una malattia.
«Per noi non c’è dubbio. Siete voi che avete cambiato idea».
La comunità ebraica lamenta intolleranza.
«Noi abbiamo rispetto per la cultura e per la religione ebraica. Non ne abbiamo per personaggi come Riccardo Pacifici, rabbino di Roma, sionista che incita all’odio. Pacifici dovrebbe almeno cambiare cognome».
Sbagliano o no a dire d’essere perseguitati?
«Perseguitati gli ebrei in Italia? Oggi il clima non è facile in questo Paese. Il musulmano è identificato come immigrato pericoloso. Se viene arrestato uno di noi i giornali precisano subito la religione: musulmano; se arrestano un rumeno non precisano che è di fede cristiano ortodossa. Come mai? Vogliamo chiarire questo aspetto una volta per tutte?»
Chiariamolo.
«Un buon musulmano non commette reati. Deve comportarsi da onesto cittadino e in cambio chiede libertà d’abbigliamento, appositi luoghi di culto, cimiteri, mense nelle scuole e nelle prigioni. A Cagliari nel camposanto di San Michele c’è giusto un’aiuola con un cartello che dice acattolici . Vi sembra rispettoso?»
C’è qualcosa dell’islam che non le va a genio?
«No, altrimenti torniamo al discorso del sono cattolico ma non praticante. Un buon musulmano deve seguire la legge islamica e non dubitare, mai».
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