dal Khitay Namèh di Seyyid Aly Ekber (1)
Capitolo XV
Degli stranieri che si sono recati nel Khitay e che ancora vi si recano dalle diverse parti del mondo
Le persone che, dai paesi dell’Islâm, si rendono nel Khitay per via di terra, devono assolutamente essere rivestite del carattere di ambasciatore.
I Cinesi pongono sullo stesso piano il villico e l’abitante di una grande città, un ufficiale subalterno e un potente monarca, un commerciante e uno schiavo.
Non conoscono, nell’universo, altro Impero che quello del Khitay, e altri dignitari che i loro.
Le genti provenienti per via di terra conducono dei cavalli e recano (in dono) dei diamanti, delle stoffe di lana, del panno, ossia dello scarlatto di Venezia, della giada e del corallo. Conducono con loro anche dei leoni, dei leopardi e delle linci.
Tutte queste mercanzie si smerciano ottimamente nel Khitay. I Cinesi accettano volentieri anche i cavalli da soma, che regalano ai soldati addetti alla guardia delle frontiere.
I cavalli più costosi vengono condotti coi loro proprietari a Khan Baligh. Li si fa accompagnare da dodici servi che li conducono di tappa in tappa, per una distanza di cento giornate di marcia.
Sei di questi servi portano delle lanterne di tutti i colori, sospese all’estremità di bastoni dipinti e coperti di disegni; camminano davanti e dietro al cavallo; degli altri sei, tre si tengono alla sinistra e tre alla destra dell’animale.
Un leone è condotto con dieci volte maggior pompa rispetto ad un cavallo.
Il leopardo e la lince non rappresentano che la metà del valore di un leone.
Viene fatta cosi’ superare a queste bestie la distanza di cento giornate di cammino.
Si ricevono, in cambio di un leone, trenta casse di mercanzie: ogni cassa contiene mille pezze di stoffe, rasi, velluti; delle staffe in ferro e degli abiti in broccato d’oro; vi si aggiungono forbici, coltelli e aghi. Vi è un pacchetto di ognuno di questi oggetti.
Si ricevono quindici casse simili per un leopardo e una lince e, per quanto riguarda un cavallo, il decimo di cio’ che è accordato per un leone.
Le persone ricevono, inoltre, otto abiti con sottoveste in seta, e ciascuno è rivestito di tre abiti di diversi colori, posti l’uno sull’altro. Ciascuno di questi vestiti è di una tale ampiezza che se potrebbero ricavare due. La larghezza della stoffa impiegata è di un braccio.
Vengono donati anche degli stivali e altri oggetti.
Questi vestiti sono concessi in dono al di fuori del prezzo fissato per il valore delle mercanzie.
Tali regali vengono donati ad ogni Musulmano dal Khâqan (Imperatore), che ai nostri tempi ha, per volontà di Allah, abbracciato l’Islâm, benché i suoi antenati, che regnarono per migliaia di anni, fossero infedeli. Gli abitanti del Khitay sono, in effetti, dei discendenti di Qabil (Caino).
Il discendente di Kin Thay Khan, che oggi è divenuto Musulmano, vide in sogno il principe dei Profeti (sallAllahu ‘alayhi waSallam) strappargli il cuore, lavarlo e recitare su di lui la Shahâdah (testimonianza di fede). questo principe fu, in quell’istante, convertito all’Islâm.
Al risveglio, vide sul muro della sua camera le parole della Shahâdah tracciate in caratteri di colore verde.
Alla vista di tale prodigio, egli la recito’ nuovamente, ed informo’ di questo fatto tutti gli abitanti del palazzo.
Un gran numero di persone, tra gli alti dignitari, cosi’ come tra la gente di umile condizione, seguirono il suo esempio, e abbracciarono l’Islâm.
Il Khâqan redasse una missiva per informare, al di fuori del palazzo, i grandi e i piccoli riguardo la sua determinazione.
“Che ne direste? – scriveva – Per diverse migliaia di anni, gli abitanti dei paesi dell’Oriente sono rimasti immersi nelle tenebre della miscredenza. La luce della fede ha brillato, ed io solo, tra i miei padri e i discendenti del Faghfur della Cina, ho potuto giungere alla felicità di conoscerla. Se possedete naturalmente in voi stessi la scienza perfetta, bisogna che abbracciate l’Islâm”. (2)
Quando i dignitari e il popolo vennero a conoscenza della conversione del Khâqan e del tenore del suo scritto, si trovarono immersi nel più profondo stupore.
I mandarini esposero cio’ che segue in una supplica: “Nessuno dei vostri antenati è mai stato Musulmano, e le leggi del Khitay non permettono affatto all’Imperatore di far professione di fede islamica”.
Dopo aver ricevuto questa risposta, il Khâqan convoco’ i dignitari: “Cio’ che mi avete scritto – disse – prova la vostra scarsa conoscenza della legge. I nostri antenati l’hanno stabilita per gli atti esteriori, ma la nostra coscienza le sfugge. Che cosa ne potete voi sui miei sentimenti intimi? L’Islâm appartiene al dominio delle cose spirituali”.
I mandarini e il popolo non trovarono nulla da obiettare a tali parole e furono colti da timore. Ignorare la legge anche su un solo aspetto costituisce per i mandarini un errore molto grave.
Un gran numero dei funzionari e della gente del popolo adottarono l’Islâm, poiché i miscredenti dell’Oriente, sia che abitino nelle città, sia che si tratti di gente della campagna, hanno una marcata propensione per questa religione.
Quando il Khâqan l’avrà praticata, una moltitudine di suoi subalterni seguiranno il suo esempio, poiché essi spingono fino all’adorazione il rispetto che nutrono per la persona del sovrano; si sottomettono a tutto cio’ che egli dice.
Quando la luce proveniente dall’Occidente diverrà più viva (nelle contrade dell’Oriente), gli abitanti abbracceranno senza difficoltà e senza opposizione la religione musulmana, poiché non nutrono alcun sentimento di fanatismo religioso.
Quando il più meritevole dei campioni della religione, il più glorioso dei sultani del mondo, l’ombra di Allah sulla terra, il sultano di Rûm, avrà, con la fiaccola della fede che li guiderà sulla retta via, cacciato l’oscurità della notte che avvolge i miscredenti dell’Occidente, e quando le sue truppe vittoriose avranno riunito in un solo fascio la luce dell’Occidente e quella dell’Oriente; quando egli avrà dissipato le tenebre dell’errore che regna ancora sulla superficie della terra, allora le parole di questo versetto:
Quando verrà l’ausilio di Allah e la vittoria (Corano CX. An-Nasr, 1)
saranno completamente realizzate in considerazione del Profeta (pace e benedizioni di Allah su di lui) e della sua famiglia.
Noi godiamo ancora dei suoi benefici, nonostante egli abbia lasciato questo mondo.
Abbiamo gli occhi della speranza fissati sulla tua grazia,
oh nostro Signore! Accordaci il cibo quotidiano!
Oh tu, il cui carattere generoso risplende come il sole,
tu vedi chiaramente esposta dinanzi a te la condizione dei disgraziati!
NOTE:
(1) Negli ultimi anni del XV° secolo e all’inizio del XVI°, un mercante musulmano, probabilmente originario dell’Asia centrale, si reco’ in Cina con diversi suoi correligionari, ottenendo il permesso di risiedere a Pechino.
Al suo ritorno, si stabili’ a Costantinopoli, dove redasse, sotto il titolo di Khitay Namèh, un’opera divisa in venti capitoli, nei quali consegno’ tutte le osservazioni fatte durante il suo viaggio e il suo soggiorno nelle province della Cina del nord.
L’esemplare autografo del Khitay Namèh è conservato nella biblioteca di Ashir Efendy e, in una nota posta alla fine del libro, l’autore ci informa di chiamarsi Seyyid Aly Ekber, e di aver ricevuto o adottato il soprannome di Khitay (il Cinese).
Termino’ la sua copia del libro alla fine del mese di Rabi’ al-Awwal 922 H. (aprile 1516).
L’opera fu composta allo scopo di incitare il sovrano dell’Impero Ottomano a lanciarsi alla conquista della Cina e a convertirla all’Islâm. L’autore cita l’esempio di Timur che, costretto dalla malattia a fermarsi a Otrar, sul letto di morte espresse il rimpianto di aver versato il sangue dei Musulmani invece di rivolgere le armi contro gli infedeli del Tibet, del paese di Uygur e della Cina.
(2) La notizia relativa alla conversione all’Islâm dell’Imperatore della Cina è riportata anche da altri autori.
Ad esempio, Seïfy Tchéléby menziona l’avvenimento nel suo opuscolo, in cui narra che il cugino dell’Imperatore Kin Ti una notte vide in sogno, nel 960 H. (1552), il Profeta Muhammad (sallAllahu ‘alayhi waSallam), che gli ingiunse di recarsi immediatamente nelle scuderie, dove avrebbe trovato uno stalliere che gli avrebbe fatto recitare la Shahâdah. L’indomani mattina, l’Imperatore rese nota la sua conversione ai suoi ministri e agli ufficiali del palazzo, invitandoli a seguire il suo esempio.
Gli uni acconsentirono, altri rifiutarono. La madre dell’Imperatore resistette a tutte le istanze del figlio, che assunse il nome di Muhammad.
Un individuo giunto da Bukhara, di nome ‘AbdusSamad, insegno’ all’Imperatore i principi fondamentali dell’Islâm.
Costui gli offri’ la dignità di primo ministro, ma ‘AbdusSamad rifiuto’, contentandosi dell’ufficio di consigliere spirituale.
Seïfy aggiunge che il numero dei Musulmani era considerevole, in Cina, alla sua epoca, e che vi erano più di trecento moschee in cui si eseguiva la preghiera congregazionale del venerdi’.
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